A Paolo, Agostino, Claudio, Eddie Walter, Emanuela, Vincenzo Fabio.

Separazione delle carriere dei Magistrati: Come decidere?
Si fa un gran parlare, a torto o a ragione, della separazione delle carriere dei Magistrati. La riforma, è un elemento centrale di una proposta di legge costituzionale, associata alla riforma della giustizia; trattasi, in verità, di una riforma della Magistratura.
La riforma, prevista dal governo in carica, mira a distinguere la carriera di chi svolge funzioni giudicanti (giudici) da quella di chi svolge funzioni requirenti (pubblici ministeri).
La norma è una legge costituzionale che prevede l’introduzione di una modifica indicante una separazione netta tra la carriera dei giudici e quella dei pubblici ministeri.
Il Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) verrebbe sdoppiato in un Consiglio Superiore della Magistratura giudicante e un Consiglio Superiore della Magistratura requirente; verrebbe altresì istituita un’Alta Corte disciplinare per occuparsi delle questioni disciplinari, ora di competenza del CSM.
Le voci, i pareri, le rassicurazioni, si susseguono da entrambi gli schieramenti, quelli del “SI” alla riforma, filogovernativi, e quelli del “NO” dalle opposizioni, ma anche e soprattutto dalla Magistratura, sia requirente che giudicante.
La domanda che nasce spontanea in un comune cittadino è: Come fare a districarsi in questa rete colma di informazioni contrastanti? Come fare per prendere una decisione importante e votare “SI” o “NO” al referendum abrogativo di questa contestata norma?
Per coloro i quali che, come me, non sono giuristi, ma hanno voglia di SAPERE, di CONOSCERE, prima di recarsi al voto e rischiare di mettere una croce sulla scheda elettorale senza averne cognizione di causa, o quantomeno seguendo semplicemente le varie pubblicità o il consiglio del politico di turno che, pur di “accaparrare” voti promette di “far arrivare la luce nei campi per farvi lavorare anche di notte”, vediamo come districarci in situazioni del genere e agire con la coscienza pulita e la schiena dritta.
Per farlo, facciamo un esempio pratico: Poniamo il caso che, chiunque di noi, sperando mai, abbia bisogno di curare una malattia importante che potrebbe cambiare le sorti della nostra vita, non sapendo come fare, ci poniamo una scelta tra ascoltare i consigli dei vicini di casa, di un amico del mio amico, del solito ciarlatano in tv, oppure ascoltare i consigli di un medico molto bravo e preparato che, per esperienza, abbia già affrontato queste problematiche. Allora si cerca il medico adatto, ognuno con le proprie conoscenze e competenze. Sia chiaro che, per curare una frattura ad un piede non andremo mai da un cardiologo o viceversa, ma sceglieremo, secondo coscienza, il professionista adatto al nostro scopo.
Ebbene, in tutti i governi presenti e passati, di destra, sinistra, di centro, di alto, di basso che dir si voglia, abbiamo assistito, quasi sempre, a nomine di responsabili di dicasteri per accaparrarsi le poltrone e non certo per le competenze del loro curriculum vitae; ecco perché noi cittadini, abbiamo assistito impotenti a disastri nella sanità, nella Pubblica Istruzione, nella giustizia e via dicendo, facendoci perdere anche la voglia di recarci alle urne, soprattutto nei referendum. Il vero cambiamento si ottiene nel segreto della cabina elettorale, non al mare!
Questa volta, ad essere messo in discussione è appunto la riforma che prevede la separazione delle carriere dei Magistrati.
Essendo io uno dei cittadini che sarà chiamato ad esercitare il mio DIRITTO -DOVERE di voto in un referendum abrogativo popolare, (Come tutti i quesiti referendari Italiani), sono andato a cercare non uno, ma tanti “medici” preparati e con molta esperienza alle spalle, teorica e pratica, a “curare” il mio deficit conoscitivo.
Allora ho trovato il Dott. Nicola Gratteri, il Dott. Antonino DI Matteo, la Dott.ssa Annamaria Frustaci, solo per citare alcuni nomi con i quali ho aperto un dialogo, (Ma la lista di questi bravissimi Dottori è lunghissima!), compresi giovani Magistrati che hanno scioperato accanto ai colleghi con più anni di servizio e, fidandomi di questi bravi “specialisti”, sentendo le loro motivazioni, le loro giuste richieste, sono fermamente convinto dell’inutilità di questa separazione delle carriere per i Magistrati, la quale riforma porterebbe più demeriti che meriti, più danni che benefici, ecco perché, a chi mi chiede consigli, garantito dall’art. 21 della nostra Carta Costituzionale, comunico il mio “NO” alla riforma sulla separazione delle carriere dei Magistrati.
La Magistratura ha bisogno dei cittadini, come gli stessi hanno bisogno della Magistratura; una Magistratura funzionante, indipendente, non appartenente a logge di qualsiasi genere, non ricattabile o manovrata dalla politica, che sappia garantire sicurezza e legalità a tutti i cittadini difronte alla legge, una legge che sia uguale per tutti e non severa con i poveri e indulgente con i ricchi! Ecco perché bisogna schierarsi e non assistere passivamente ed essere silenti ad un cambiamento che porterebbe pericolosi disservizi ai cittadini tutti, ai nostri figli!
Se riforma dev’esserci, SI CHIEDA consiglio ai Magistrati schierati sul campo di quali riforme hanno bisogno per combattere le criminalità di ogni genere, favorendo al meglio il loro lavoro con una Magistratura funzionante, anche a scapito della politica corrotta, collusa e concussa! I politici di turno, di qualsiasi schieramento, che legiferano in Parlamento, abbiano cura della Nostra Carta Costituzionale, ed abbiano l’umiltà ed il buon senso di chiedere agli aventi bisogno come normare e legiferare, tenendo conto degli interessi di tutti, senza approcci clientelari e manovre “ad personam” o “Colpi di spugna” vari.
I politici tutti, ai quali noi diamo mandato e agli stessi paghiamo stipendi elevatissimi con le nostre tasse, dovrebbero lodare e premiare i magistrati che, fuori dalle alte teche, parlano alla gente in TV, nei giornali, nelle università, nelle scuole in genere o nelle piazze, con l’unico scopo di sensibilizzare ed erudire la popolazione sul contrasto alle criminalità; non ostacolarli con supposti provvedimenti disciplinari, interrogazioni Parlamentari vari o “rimproveri intimidatori” sol perché non si è in linea con le idee del governo di turno, qualsiasi esso sia! Il popolo ha bisogno di ascoltare questi professionisti, ha meno bisogno di chi ha fatto della politica un mestiere clientelare!
Ma questa funzionalità non si raggiunge con una separazione delle carriere, ma mettendo i Giudici, i Pubblici Ministeri, in condizioni di poter lavorare serenamente con un organico congruo, senza vincoli politici e senza condizionamenti vari.
C’è un articolo dell’Avvocato Pietro Gurrieri, direttore RdG e autore di “Divide et impera: La separazione delle carriere e i rischi di eterogenesi dei fini”, riguardante l’intervento del Dott. Nicola Gratteri all’assemblea generale dell’Associazione Nazionale Magistrati, che vi propongo e che mi sento di sposare.

“𝔾𝕣𝕒𝕥𝕥𝕖𝕣𝕚, 𝕦𝕟 𝕒𝕡𝕡𝕖𝕝𝕝𝕠 𝕔𝕚𝕧𝕚𝕝𝕖 (𝕖 𝕔𝕠𝕟𝕕𝕚𝕧𝕚𝕤𝕚𝕓𝕚𝕝𝕖) 𝕔𝕠𝕟𝕥𝕣𝕠 𝕝𝕒 𝕟𝕠𝕣𝕞𝕒𝕝𝕚𝕫𝕫𝕒𝕫𝕚𝕠𝕟𝕖 𝕕𝕖𝕝 𝕡𝕦𝕓𝕓𝕝𝕚𝕔𝕠 𝕞𝕚𝕟𝕚𝕤𝕥𝕖𝕣𝕠”

C’è una parola che ha attraversato, come una lama, l’intervento di Nicola Gratteri all’assemblea generale dell’Associazione nazionale magistrati: normalizzare. Ed è questa, più di ogni altra, la chiave per comprendere il senso profondo della sfida che oggi si gioca attorno alla separazione delle carriere. Perché dietro la pretesa di rendere “più efficiente” o “più imparziale” la giustizia penale come vorrebbe la retorica governativa e ministeriale, si cela – come ha denunciato il procuratore di Napoli – il disegno di “impaurire il pubblico ministero, di trasformarlo in un perfetto burocrate”. Tesi che condivido, mi sentirei di dire, de plano e in toto, perché emersa, in tutta la sua nettezza, dall’analisi scientifica che ha condotto al mio libro “Divide et impera: la separazione delle carriere e I rischi di eterogenesi dei fini”, per i tipi di Bonanno.

Quello di Gratteri, però, è un allarme che non viene da un accademico – né da un politico – ma da chi la giustizia la abita da quasi quarant’anni, da chi ha conosciuto la solitudine delle indagini difficili e la forza corrosiva della delegittimazione. “Siamo rimasti soli, abbiamo lottato a mani nude”, ha ricordato Gratteri, rievocando gli anni di Catanzaro. Eppure, quella solitudine non è mai degenerata in resa: è diventata testimonianza civile, presidio di indipendenza, atto di fede laica, si consenta questo termine ad un cattolico, nello Stato di diritto.

Oggi, quella stessa indipendenza è minacciata da un progetto di riforma che tende a recidere il filo sottile che tiene unita la magistratura: la comunanza nella giurisdizione, che è comunanza culturale e valoriale tra chi accusa e chi giudica. Separare le carriere non significa solo diversificare percorsi professionali, ma significa riscrivere la Costituzione materiale del processo, spezzare l’unità del potere giudiziario, aprire varchi all’esecutivo là dove la Carta repubblicana aveva posto argini invalicabili. Quando Gratteri parla di “normalizzazione”, non evoca uno spettro astratto. Parla della tentazione, sempre ricorrente, di un potere politico che vorrebbe magistrati docili, prevedibili, gestibili: pubblici ministeri che “si guardino bene dal disturbare il manovratore”. È la stessa logica che si intravede nella proposta di riformare, duplicandolo, il Consiglio superiore della magistratura, di introdurre il sorteggio – diretto e univoco per i magistrati, mediato però per i membri laici, per garantire ai politici spazi di manovra e, brutalmente, di prebenda – di comprimere gli spazi di autogoverno; di introdurre una Corte di giustizia dai contorni gravemente distonici rispetto ai principi costituzionali: un mosaico di interventi apparentemente tecnici che, messi insieme, disegnano un preciso orizzonte culturale – quello della magistratura subordinata.

Ma Gratteri non si è limitato alla denuncia. Ha lanciato un appello vibrante ai suoi colleghi: “Bisogna organizzarsi, parlare alla gente con i quattrocento vocaboli che le persone conoscono”. È un invito alla militanza civile, alla discesa nella società reale, oltre le aule dei convegni e le liturgie degli addetti ai lavori. Perché la battaglia sulla giustizia, come quella sull’autonomia differenziata o sul premierato, non è una questione di tecnica, ma di democrazia. Ecco il punto decisivo: la riforma Nordio non è solo un intervento sull’ordinamento giudiziario, ma una svolta antropologica nella concezione stessa della funzione del pubblico ministero. Non più soggetto della giurisdizione, ma amministratore del penalismo di Stato; non più custode della legalità costituzionale, ma esecutore del potere politico. È alto, infatti, il rischio dell’eterogenesi dei fini di cui ho a lungo parlato nel mio libro, e che mi preoccupa ancor più del funzionariato o del servilismo, perché anche questo può accadere, in un mondo che non è di santi. È questa la “normalizzazione” contro cui si leva la voce di Gratteri, ed è per questo che le sue parole scuotono, accendono, dividono. “Il coraggio non si vende al supermercato”, ha detto con la consueta franchezza, replicando a chi – come il viceministro Sisto – ne aveva messo in discussione il comportamento per una partecipazione televisiva. Dietro quella battuta c’è un messaggio profondo: il coraggio, nella magistratura come nella società, non è virtù opzionale. È la condizione stessa della libertà.

Nel clima plumbeo di questi mesi, segnato da tentativi di riforma che minano i fondamenti costituzionali dell’indipendenza giudiziaria, l’intervento del procuratore di Napoli è risultato utile per ribadire che esiste – e non può essere soffocata dalla propaganda – una linea di demarcazione non solo tra modelli di giustizia, ma tra due idee di Repubblica: una che vuole una magistratura viva, critica, autonoma; l’altra che la vorrebbe pacificata, silenziosa, conforme. Gratteri sceglie la prima. E con lui, ad onta anche di quanto vogliano far credere le classi dirigenti dell’Avvocatura, moltissimi Avvocati e chi ancora crede che la giustizia non sia un mestiere, ma un dovere verso la verità. Perché, come insegnava Calamandrei “la libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare”. Ed è per questo che in tanti, indossando la Toga forense, sosterranno questa battaglia.
𝙋𝙞𝙚𝙩𝙧𝙤 𝙂𝙪𝙧𝙧𝙞𝙚𝙧𝙞
Per altri dubbi, seguite le interviste e le dichiarazioni di questi grandi Magistrati, come le dichiarazioni di tantissimi loro colleghi che hanno sposato questa lotta alla riforma sulla separazione delle carriere, se volete confrontatela con l’altro fronte, magari arriverete alle mie stesse conclusioni!
Abbiamo bisogno di Giudici e Pubblici Ministeri che combattano la criminalità, ricca o povera che sia, con i giusti poteri, la piena libertà, senza timori reverenziali, e gli strumenti giusti e adeguati.
Si chieda a loro di cosa hanno bisogno, si chieda a chi, giornalmente, è sul campo di questa battaglia con il sostegno della gente onesta e operosa, quella gente che crede ancora, come me, che “Un giorno questa terra sarà bellissima!”, come il sogno di Paolo Borsellino.
NO alla riforma sulle separazioni delle carriere dei Magistrati!
Giuseppe Carbone
A. R. Liguria