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Partita chiusa.
Attentato Antoci, archiviata inchiesta bis: "Dalla Commissione antimafia elucubrazioni mentali non corroborate da alcun dato probatorio "
Di Giuseppe Carbone
Del "caso Antoci" ci siamo occupati anche noi di Agende Rosse, seguendo da vicino le indagini, raccogliendo informazioni anche con inviati sul posto. (https://www.agenderossegenova.it/eventi-e-video/#&gid=1&pid=1)
I vari tentativi di "mascariamento" messi in atto per delegittimare Giuseppe Antoci, si sono rivelati un boomerang nei confronti di chi ha ordito, organizzato, incoraggiato o semplicemente appoggiato atti lesivi alla moralità di una brava persona.
Siamo arrivati così alla conclusione con l'archiviazione l'inchiesta bis sull'attentato fallito all'ex presidente del Parco dei Nebrodi e presidente onorario della "Fondazione Caponnetto", Giuseppe Antoci.
La procura di Messina aveva avviato l'inchiesta a seguito dell'acquisizione della relazione della Commissione regionale antimafia Siciliana la quale aveva tratto delle conclusioni davvero fantascientifiche sull'attentato mafioso subito da Antoci la notte tra il 17 e il 18 maggio 2016, sollevando alcuni dubbi e ritenendo in conclusione che l'ipotesi del fallito attentato mafioso sia la meno plausibile.
Del caso si era occupato anche il giornalista Gaetano Pecoraro di "Le Iene", possiamo scrivere "infastidendo" Claudio Fava, presidente della commissione stessa. Gaetano Pecoraro aveva incrociato i dati, analizzando il lavoro della commissione con i verbali dalla Questura, le dichiarazioni degli inquirenti e via dicendo, trovando parecchie, troppe incongruenze e chiedendone conto al Presidente Fava.
Come riportato da tutti gli organi di stampa, da "Repubblica" alla "Gazzetta del sud", l'indagine si e' conclusa con una richiesta di archiviazione accolta dal gip Simona Finocchiaro. Le dichiarazioni del gip: "Sebbene le indagini non abbiano consentito di risalire agli autori dell'attentato, alle sue modalità, al movente, la conclusione raggiunta dalla Commissione, appare preconcetta e comunque non supportata da alcun dato probatorio". La Dott.sa Finocchiaro, nel decreto di archiviazione scrive inoltre: "Eventuali illazioni sul coinvolgimento di Antoci e degli uomini della sua scorta o ancora di Manganaro e Granata appaiono pure elucubrazioni mentali non corroborate da alcun dato probatorio" Conclude: "L'attento esame delle criticità rilevate dalla commissione non ha tuttavia fornito alcuni valido spunto investigativo e questo giudice ritiene che le conclusioni cui e' giunto anche in questo procedimento, l'ufficio di procura, da ritenersi in questa sede integralmente richiamate, meritino accoglimento".
Sempre la Dott.sa Finocchiaro, dopo aver analizzato l'operato degli uomini della scorta di Antoci, che secondo la Commissione antimafia furono contraddistinte da una "mancata osservanza dei protocolli operativi", conclude che: "Tale critica all'operato della scorta appare fine a sé stessa e ininfluente sulla direzione delle indagini", anche perché sia il Santostefano che il Manganaro hanno fornito una giustificazione logica e credibile al loro operato". Ricordiamo che tutti gli uomini della scorta, visto il loro coraggioso ed impeccabile comportamento professionale, sono stati promossi di grado per meriti dal capo della Polizia.
Poi "l'affondo", il Gip afferma: "... non si comprende poi per quale motivo la Commissione abbia assegnato valenza probatoria prevalente alle dichiarazioni del Dott. Ceraolo, all'epoca dirigente del Commissariato di Barcellona Pozzo di Gotto, ed audito dalla commissione, ponendole come base per contestare l'esito delle indagini".
In effetti , la verità emerge sempre.
Adesso ci chiediamo: Smentito su tutti i fronti, quali saranno le conclusioni del Dott. Fava? Almeno le scuse al Dott. Antoci?
Giuseppe Carbone
A.R. Liguria
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Omicidio di Nino Agostino e Ida Castelluccio.
Comunicato Stampa della DIA
Di Giuseppe Carbone
A.R. Liguria
Ci sono voluti ben 31 (trentuno) anni d’attesa per vedere uno spiraglio di luce sull’omicidio dell’agente di Polizia Nino Agostino e di sua moglie Ida Castelluccio.
Questa mattina abbiamo letto un comunicato stampa, diffuso dalla Direzione Investigativa Antimafia (DIA), che riproponiamo in quest’articolo. Il comunicato riporta l’importante notizia che è stato finalmente chiesto il rinvio a giudizio dei presunti autori dell’omicidio di Nino, di sua moglie Ida e del figlioletto che la signora portava in grembo.
Il Movimento delle Agende Rosse Nazionale, ivi compreso il nostro gruppo, anche in questo momento è vicino con tutto l’affetto possibile a Vincenzo Agostino ed ai suoi familiari. Ricordiamo che la moglie di Vincenzo, che si chiamava Ida come la nuora, è mancata senza vedere almeno individuati i colpevoli della morte dei suoi cari.
Le indagini per questo duplice omicidio sono state costellate da “anomalie”, fra le quali la sottrazione di importanti documenti. La notte della morte di Nino Agostino e della moglie, infatti, alcuni ignoti "uomini di Stato" riuscirono ad entrare nell'abitazione dei coniugi defunti e fecero sparire degli appunti, riguardanti indagini importanti che Agostino stava conducendo.
La dubbiosa reticenza dei soggetti informati dei fatti, il silenzio inaspettato ed incompreso dei collaboratori di giustizia hanno poi fatto da corona all’affossamento della verità.
Per inquadrare correttamente la situazione in cui maturò l'omicidio, è necessario ricordare la frase, rimasta famosa, pronunciata da Giovanni Falcone in occasione dei funerali della coppia (ai quali partecipò insieme a Paolo Borsellino):
“Io a quel ragazzo gli devo la vita.”
Giovanni Falcone si riferiva al fallito attentato dell’Addaura del 21 giugno del 1989: Nino Agostino aveva sicuramente scoperto qualcosa d’importante, che però gli costò la vita.
Dal giorno della morte del figlio e della nuora incinta, Vincenzo Agostino non si è più tagliato la barba, come forma di protesta contro l’occultamento della verità su quella strage.
Oggi finalmente vengono resi noti i rapporti tra “cosa nostra” e le “Istituzioni deviate”. Nel rapporto della DIA si evidenzia fra l’altro il favoreggiamento di Rizzuto, amico personale di Nino Agostino.
DIREZIONE INVESTIGATIVA ANTIMAFIA
COMUNICATO STAMPA
RINVIATI A GIUDIZIO I PRESUNTI AUTORI DEL
DUPLICE OMICIDIO AGOSTINO-CASTELLUCCIO
La Procura Generale di Palermo ha chiesto il rinvio a giudizio di MADONIA ANTONINO e SCOTTO GAETANO per il duplice omicidio dell’agente AGOSTINO e della moglie incinta; e di RIZZUTO FRANCESCO PAOLO per il reato di favoreggiamento aggravato.
La sera del 5 agosto 1989 l’agente della Polizia di Stato Antonino AGOSTINO e la giovane moglie Giovanna Ida CASTELLUCCIO furono uccisi a colpi di arma da fuoco davanti all’ingresso dell’abitazione estiva della famiglia AGOSTINO, in territorio di Villagrazia di Carini (Palermo). A sparare furono due killers giunti a bordo di una moto di grossa cilindrata, successivamente rinvenuta parzialmente bruciata non distante dal luogo dell’eccidio. La signora CASTELLUCCIO si trovava in stato interessante.
Le indagini si rivelarono sin da subito particolarmente complesse, principalmente per alcune evidenti anomalie.
In primo luogo, risultava assente un qualsiasi movente plausibile. Dalle prime investigazioni ed in specie dalle dichiarazioni dei suoi “superiori”, Antonino AGOSTINO appariva essere un agente addetto al servizio “volanti” del Commissariato di Palermo - San Lorenzo, che non aveva mai svolto attività investigativa né, tantomeno, ricoperto incarichi sensibili. Nessuna ombra del resto, vi era mai stata sulla sua vita professionale.
In secondo luogo venivano sottratti alla cognizione della magistratura documenti essenziali per l’accertamento della causale dell’omicidio, mediante la distruzione di manoscritti dell’AGOSTINO rinvenuti nel corso di una perquisizione eseguita dopo il duplice delitto.
L’accertamento dei fatti veniva altresì ostacolato dalla iniziale reticenza di vari soggetti informati della segreta operatività dell’AGOSTINO nell’ambito di una struttura di intelligence, nonché dall’assenza di dichiarazioni di collaboratori di giustizia, indici entrambi del peculiare regime di segretezza che aveva caratterizzato l’ultimo segmento di vita della vittima e le ragioni della sua soppressione che dovevano restare occulte anche all’interno di cosa nostra.
Nella complessa ricostruzione operata dalla Procura Generale di Palermo, basata sulle indagini condotte dalla DIA e su inedite dichiarazioni di collaboratori di giustizia, di persone informate, su intercettazioni e su risultanze investigative acquisite nell’àmbito di un’attività di coordinamento con altre Procure della Repubblica, è emerso che l’agente AGOSTINO, assolveva anche “mansioni coperte”, che esulavano dai suoi compiti ordinari istituzionali, con particolare riferimento ad iniziative assunte unitamente ad esponenti di spicco dei Servizi di sicurezza ed apparentemente finalizzate alla ricerca di latitanti di mafia di spicco.
Sono state acquisite, in particolare, dichiarazioni da parte di alcuni collaboratori di giustizia sugli esecutori materiali del delitto, indicati nelle persone di Gaetano SCOTTO e Antonino MADONIA, nonché in ordine al movente, che si è rivelato di peculiare complessità, poiché ambientato nel torbido terreno di rapporti opachi tra componenti elitarie di cosa nostra ed alcuni esponenti infedeli delle Istituzioni.
E’ emerso in particolare, nella ricostruzione della Procura Generale ora al vaglio del GUP, che AGOSTINO faceva parte, insieme a PIAZZA Emanuele, AIELLO Giovanni (il c.d. mostro), PAOLILLI Guido (anche lui Agente della Polizia di Stato e mèntore dello stesso AGOSTINO, che aveva provveduto a reclutare), ed altri componenti allora apicali dei Servizi di sicurezza, di una struttura di intelligence che, in fase di reclutamento, veniva rappresentata con finalità di reclutamento come ricerca latitanti, ma che in realtà si occupava di gestire complesse relazioni di cointeressenza tra alcuni infedeli appartenenti alle Istituzioni e l’organizzazione criminale cosa nostra.
E’ emerso, altresì, da molteplici prove, che AGOSTINO aveva, nell’ultima parte della sua vita, compreso le reali finalità della struttura cui apparteneva (alla quale aveva offerto una pista molto seria - legata a familiari della moglie - per pervenire alla cattura di Salvatore RIINA a San Giuseppe Jato), e se ne era allontanato poco prima del suo matrimonio, fatto che era stato posto a fondamento della decisione di uccidere lui e la moglie.
In particolare, sono oggetto della istruttoria compiuta rapporti di appartenenti alle Istituzioni con MADONIA Antonino, incontrastato capo del mandamento di Resuttana, e SCOTTO Gaetano, anche lui appartenente allo stesso mandamento e da sempre indicato come trait d’union con appartenenti ai Servizi di sicurezza.
Le prove raccolte, ora offerte alla valutazione del GUP, riguardano non solo dichiarazioni di collaboratori di provata fede (come Vito GALATOLO, Giovanni BRUSCA, Francesco MARINO MANNOIA, Francesco DI CARLO, Giuseppe MARCHESE, Francesco ONORATO) ma anche di testimoni vicini all’AGOSTINO, come colleghi e familiari. Ulteriori conferme sono scaturite dalle intercettazioni telefoniche, che hanno dimostrato il coinvolgimento della struttura in alcuni importanti depistaggi.
Dalle indagini condotte dalla DDA di Palermo e acquisite dalla Procura Generale, sono emersi anche rapporti di AGOSTINO con il dott. Giovanni FALCONE nella fase in cui questi stava conducendo investigazioni delicatissime sulla c.d. pista nera per l’omicidio del Presidente della Regione Siciliana Piersanti Mattarella.
Nel contesto delle nuove indagini è emersa la figura di Francesco Paolo RIZZUTO, detto “Paolotto”, nell’anno 1989 ancora minorenne, amico personale di Antonino AGOSTINO.
RIZZUTO, come risulta in atti, al momento del duplice omicidio si trovava sul posto e la notte precedente aveva partecipato con Antonino ad una battuta di pesca. Successivamente, i due avevano dormito presso l’abitazione estiva degli AGOSTINO a Villagrazia di Carini. La mattina dopo, AGOSTINO si sarebbe recato in ufficio, mentre RIZZUTO si sarebbe attardato presso gli AGOSTINO.
In merito, è stato grazie alle tenaci investigazioni condotte dalla DIA di Palermo che è stato possibile raccogliere prove, attraverso attività tecniche riservate, che ora sono al vaglio del GUP, sul fatto che RIZZUTO, in più occasioni, abbia reso dichiarazioni false, contraddittorie e reticenti in ordine a quanto accaduto nel giorno e nel luogo in cui fu commesso il delitto ed, in generale, su quanto a sua conoscenza (tale è la contestazione della Procura Generale). Tramite intercettazioni, invero, risulta che lo stesso ha dichiarato ad un proprio congiunto di aver visto AGOSTINO a terra sanguinante e di essersi financo sporcato la maglietta indossata piegandosi sul corpo ormai esanime dell’amico, per poi fuggire buttando via l’indumento, precisando di non aver mai riferito tale circostanza quando venne sentito, poco dopo l’omicidio, dagli organi inquirenti.
Per tale motivo Francesco Paolo RIZZUTO è stato iscritto dall’A.G. per favoreggiamento personale aggravato.
Palermo, 2 luglio 2020
La sconfitta dello Stato.
di Giuseppe Carbone
Agende Rosse, gruppo "Falcone Borsellino", Genova - Liguria
Lo Stato ha perso?
Nessuno di noi avrebbe mai potuto immaginare che la nostra Nazione si trovasse a combattere una pandemia di tali proporzioni.
Il "coronavirus" o "covid-19" ha completamente stravolto le nostre abitudini, abituandoci, nostro malgrado, a convivere con delle modifiche importanti alla nostra vita, correggendo socialità, affetti, abitudini e anche libertà personali.
Mai però, avremmo potuto immaginare che il mostriciattolo invisibile fosse la chiave che sarebbe servita ad aprire la porta agli ergastolani italiani!
Lo Stato ha perso? Se non cambierà qualcosa in fretta, il punto interrogativo diventerà esclamativo!
Leggendo i titoli di alcune testate nazionali del tipo:
" Coronavirus, l’emergenza riporta a casa i mafiosi dal 41 bis: concessi i domiciliari il colonnello di Provenzano." (Fonte "Il Fatto Quotidiano")
E
"Esclusivo: coronavirus, i mafiosi al 41bis lasciano il carcere e tornano a casa"
(Fonte "L'Espresso")
Pubblicati il 21 aprile 2020, mi è venuto in mente l'estremo sacrifico degli eroi antimafia, da Paolo Borsellino con Giovanni Falcone al Generale Dalla Chiesa, Peppino Impastato, Antonino Caponnetto, Rocco Chinnici, e via dicendo con un lunghissimo elenco, immaginando come, a causa di quest'assurde notizie, i nostri paladini si stessero rigirando nelle tombe.
Nessun rispetto, nessun ricordo, nessuna giustizia!
IL giudice di sorveglianza del tribunale di Milano ha concesso i benefici degli arresti domiciliari al capomafia palermitano tal Francesco Bonura, condannato in via definitiva nel 2012, con l'imputazione di associazione mafiosa ed estorsione. Il Bonura era detenuto a Milano, presso la casa circondariale di Opera.
IL Magistrato, escludendo il cosiddetto "pericolo di fuga", nel provvedimento ha consentito al condannato di tornare nella casa di sua moglie a Palermo.
In effetti, l'acuto magistrato ha imposto al Bonura di non incontrare, senza alcuna ragione, pregiudicati. Lo stesso però, potrà uscire di casa per motivi di salute suoi o dei suoi familiari, motivandolo per “significative esigenze familiari”. Se non meglio specificate, queste esigenze famigliari potrebbero includere anche fare la spesa, andare in farmacia ecc ecc.
Certamente, il titolare del supermercato e il farmacista, in quel frangente vieteranno l'ingresso ai mafiosi pregiudicati, data la presenza del Bonura.
Il Problema, comunque, se pur gravissimo, non è solamente il Bonura in questione, bensì il precedente creato.
Boss come Rocco Filippone, imputato nel processo "Ndrangheta Stragista", e Vincenzino Iannazzo, "Il moretto", indicato come il boss di Lamezia, hanno preceduto il Bonura.
Altri nomi di personaggi detenuti, grazie anche ad una norma contenuta nel decreto "Cura Italia", indicante "L'elevato rischio di complicanze" anche all'interno delle carceri italiane, fa riferimento all'età superiore a 70 anni, senza distinzione dei reati commessi dai condannati.
Detta norma aiuterà ad ampliare la lista dei detenuti beneficiari del decreto, ivi compresi quelli reclusi al 41 bis.
Secondo le testate citate, un nome eccellente legato alla mafia e in attesa del beneficio è anche Nitto Santapaola, condannato anche per l'omicidio Fava;
Leoluca Bagarella, appartenente al clan dei corleonesi, responsabile anche della "strage di Capaci" e del sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo, adesso detenuto al 41 bis.
Raffaele Cutolo, della cosiddetta "nuova camorra organizzata".
Umberto Bellocco, legato alla "ndrangheta".
Forse è meglio fermarsi, anche se lista è lunga, perché lo sdegno e il disgusto sono già tanto!
I nomi in attesa di questo provvedimento di scarcerazione producono già l'orticaria, ma la cosa che indigna di più è la sconfitta dello Stato, garante della giustizia e della legalità!
Il Dott. Nino Di Matteo, al quale ho manifestato il mio sdegno e il mio disappunto per la vergognosa situazione, raggiunto telefonicamente, ha così descritto la situazione:
"Lo Stato sta dando l'impressione di essersi piegato alle logiche di ricatto che avevano ispirato le rivolte."
Non posso fare altro che essere d'accordo con l'alto Magistrato!
A tutti i politici, alla magistratura, agli organi competenti che generalmente definiamo "Stato", siamo già oberati e distrutti da tasse, malattie, restrizioni varie, addolorati per la perdita dei nostri cari, dei nostri eroi mai dimenticati, cortesemente:
Non fateci vergognare ulteriormente d'essere Italiani!
Lo Stato siamo tutti noi! Voi ci rappresentate; voi legiferate su nostro mandato; gli errori si possono anche commettere "involontariamente", anche se, con le gratifiche economiche che percepite, non dovrebbero essere contemplati, ma si correggono, senza "ma" e senza "se", si rettificano subito!
Giuseppe Carbone
A.R. Liguria
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Le Agende Rosse, gruppo "Falcone Borsellino" Ligure, presentano: Intervista esclusiva a Giuseppe Antoci
Giuseppe Carbone, Presidente coordinatore del Movimento delle Agende Rosse, gruppo "Falcone Borsellino" di Genova, Liguria, ha intervistato il Dott. Giuseppe Antoci, presidente onorario della "Fondazione Caponnetto" ed ex presidente del "Parco naturale dei Nebrodi".
L'intervista, se pur non molto breve, presenta il professionista Antoci, pluripremiato sia a livello nazionale che internazionale, chiarisce gli aspetti del suo lavoro ed i tentativi di delegittimazione, (Mascariamento), che non ha mai smesso di subire.
Esplora gli aspetti dell'attentato che ha subito il 27 settembre 2016, dal quale è miracolosamente scampato grazie alla vettura blindata ed alla pronta reazione dei suoi uomini di scorta.
La truffa milionaria perpetrata ai danni dell'Unione Europea, Italiana e Regionale, da parte di famiglie mafiose che hanno creato un'egemonia di paura nel parco naturale dei Nebrodi.
L'amore per la sua terra, l'affetto della sua famiglia e dei suoi amici, i suoi "Angeli custodi" di scorta, il coraggio corazzato dai sui valori, il sostegno dell'opinione pubblica e delle associazioni antimafia come le Agende Rosse, hanno fatto la differenza!
Ascoltando e vedendo l'intervista vi calerete con la mente in un film o la lettura di libro d'avventura, riuscendo a capire aspetti chiarificatrici e vicende che vi erano ignote e non avreste mai immaginato.
Buona visione!
Giuseppe Carbone
A.R. Liguria
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Un caro amico, Giuseppe Antoci, ha rilasciato una pubblica dichiarazione di ringraziamenti alle Agende Rosse. Grazie mille coraggioso amico!
“Beh, che dire agli amici delle Agende Rosse: intanto grazie, intanto grazie di esistere, grazie per questo impegno, grazie per questa perseveranza, soprattutto grazie per questa ricerca di verità e giustizia che a volte sembra non far parte del patrimonio di questo paese.
Però insomma, io penso che ci sia un momento nella vita in cui si facciano sempre i conti con se stessi; e ognuno di voi, ognuno di noi poi alla fine pensa se sta facendo la cosa giusta.
Ecco voi state facendo da tanto tempo la cosa giusta e io di questo vi sono tanto grato, tanto grato e con la speranza di abbracciarvi presto di presenza sperando che finisca tutto questo, questa pena di questo virus prima possibile.
Un caro abbraccio forte a tutti voi e a Salvatore Borsellino.
Cari saluti e a presto.”
Il "Mascariamento"
Di Giuseppe Carbone
Abbiamo già avuto modo d'affrontare il tema che riguarda il termine "Mascariamento", derivante dal verbo facente parte del dialetto siciliano "Mascariare", ovvero delegittimare.
Or dunque, ordire un "mascariamento" nei confronti di una o più persone, fino ad arrivare a un'istituzione, vuol dire combatterla con la delegittimazione, con la menzogna, distruggendolo agli occhi dell'opinione pubblica. Un efficace modo affine sopratutto alla mafia siciliana, dove, non potendo colpire con la lupara o con esplosivi, delegittima il "nemico" che la sta combattendo.
Come già trattato nel precedente articolo dal titolo: "Il caso Giuseppe Antoci; dall'attentato al mascariamento", quello che accaduto subito dopo l'attentato mafioso subito dal Dott. Giuseppe Antoci, ovvero la delegittimazione ordita nei suoi confronti sia da mafiosi che, purtroppo, da una parte delle istituzioni, al solo scopo di infangare e depistare i fatti realmente accaduti, pone degli interrogativi che esigono delle risposte veritiere e portatori di giustizia.
Il Movimento delle Agende Rosse è vicino al Dott. Antoci ed ha seguito sempre questo caso anche con la missione che Angelo Garavaglia Fragetta ha compiuto, recandosi sul luogo dell'attentato per esaminare direttamente quelle che sono state definite "impossibili vie di fuga degli attentatori", smentendo, di fatto, la dichiarazione depistante.(https://youtu.be/5j1N3dHieDc).
I servizi del giornalista Gaetano Pecoraro, della trasmissione "Le Iene", servizi che hanno cercato e forse riuscito a smascherare questo manovra di delegittimazione, per immaginabili tentativi di occultamento, non solo non sono stati mandati in onda più e più volte come sarebbe stato giusto fare, ma addirittura sono stati relegati in tarda serata, quando lo share televisivo è il più basso e gli interessi dei telespettatori sono rivolti ad altro.
Bisognerebbe capire, allora, quali sono le motivazioni del "discredito" messo in atto nei confronti di Antoci e del suo lavoro?
Perché la Commissione Regionale antimafia siciliana, presieduta dal Dott. Claudio Fava, figlio del più famoso Pippo, è arrivata a delle conclusioni della vicenda Antoci che fanno acqua da più parti?
Esiste un sistema colluso in cui la mafia e la politica operano per interessi comuni?
A quanto ammontano gli interessi economici che la mafia dei pascoli ha nel Parco dei Nebrodi?
Fondi europei e regionali destinati al campo agricolo del Parco, oltre alla mafia, foraggiano anche quella politica in cerca di consenso nella cabina elettorale?
Il "Protocollo Antoci", quanto ha influito nel destabilizzare questo sistema massomafiopolitico?
Quanto è importante che questo sistema deviato si vendichi, fermando il lavoro di Giuseppe Antoci con ogni mezzo, ivi compreso il silenzio imposto ai servizi giornalistici e alla faccenda tutta?
Perché c'è stato il tentativo di zittire con varie operazioni depistanti anche gli agenti della scorta di Antoci?
Oltre alla pronta reazione della scorta, quanto ha squilibrato il fortunato intervento del Vicequestore Aggiunto Dott. Daniele Manganaro e dell'Assistente capo Tiziano Granata, sopraggiunti sul posto a dare manforte ai colleghi poliziotti?
Una truffa, quella dei Nebrodi, stimata in più di 10 milioni di euro! Un "sistema" collaudato, questa frode, fatto di diffusa omertà, di estorsioni e intimidazioni, con connivenze diffuse e impiantato da clan mafiosi in grado di rapportarsi con le più potenti famiglie mafiose siciliane.
Un "protocollo Antoci" che arriva puntuale a sovvertire i già collaudati equilibri di controllo territoriale mafioso.
Una Commissione Regionale "antimafia" siciliana che, con la sua indagine riguardante l'inchiesta Antoci, afferma che ci sarebbero tre possibili scenari:
· Un attentato mafioso fallito che intendeva eliminare il dottor Antoci;
· Un atto dimostrativo destinato non a uccidere, ma ad avvertire;
· Nessun attentato ma solo una messinscena.
Concludendo addirittura che l'attentato mafioso sia "il meno plausibile"! Mi chiedo se, per essere plausibile, ci debba essere necessariamente il morto!
La voce discordante arriva dalla Procura di Messina, le indagini portate avanti dalla stessa, in conclusione, il decreto d'archiviazione cita: "Innegabile che tale gravissimo attentato è stato commesso con modalità tipicamente mafiose e al deliberato scopo di uccidere".
Quale "mascariamento" è messo in atto?
Come mai il consulente della Commissione Regionale antimafia siciliana, tal Bruno Di Marco, nella conferenza stampa indetta per rendere pubblica la sua relazione (http://www.radioradicale.it/scheda/586741/caso-giuseppe-antoci-conferenza-stampa-del-presidente-della-commissione-dinchiesta-e) ha dichiarato che:
· La mafia non avrebbe compiuto un attentato in una strada trafficata;
· Ha mosso dei dubbi circa il luogo da dove sarebbero potuti scappare gli attentatori;
Tesi, quest'ultima, sostenuta anche dall'avvocato Ceraolo, principale sostenitore del tema sul falso attentato. Ceraolo, è colui che ha dichiarato:.."ci sarebbero volute ore per uscire dal bosco".
Il sopralluogo effettuato dalle Agende Rosse, con il video pubblicato, (https://youtu.be/5j1N3dHieDc), ha smentito clamorosamente queste tesi. Pensate che in quella strada che dovrebbe essere particolarmente trafficata, sono state contate soltanto tre autovetture in quaranta minuti; questo in orario diurno e feriale. A voi l'ardua sentenza dopo analitico giudizio.
Il Dott. Giuseppe Antoci, il giornalista Gaetano Pecoraro, il Vicequestore Aggiunto Dott. Daniele Manganaro, l'Assistente capo Tiziano Granata, gli uomini della scorta, senza scordare l'eroico giornalista Paolo Borrometi, sempre in prima linea sul contrasto alle mafie, il Procuratore Nicola Gratteri, condottiero anti 'ndrangheta, il Procuratore Nino Di Matteo, adesso al Palazzo dei Marescialli, e via dicendo, tutte persone colpevoli d'aver fatto il proprio dovere fino in fondo, come diceva Paolo Borsellino; ma sopratutto i siciliani onesti, tutta la gente onesta di questo nostro Paese hanno bisogno della nostra solidarietà e del nostro sostegno.
Come vedete, gli interrogativi sono tanti e tanti ancora se ne potrebbero aggiungere. Ricordiamoci che, se la mafia uccide, il silenzio pure! La nostra conoscenza, il nostro informarsi, il nostro condividere anche queste informazioni, proteggeranno in qualche modo queste persone dal "mascariamento", attacchi e depistaggi vili e vergognosi.
Il Movimento delle Agende Rosse e i cittadini perbene sono con loro!
Giuseppe Carbone
A.R. Liguria
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Il “caso” Giuseppe Antoci
Dall’attentato al “mascariamento”.
Di Giuseppe Carbone
A.R. Liguria
Per entrare bene nell’atmosfera di quest’articolo, riuscendo a capire bene cosa stiamo per leggere, è necessaria una piccola prefazione, immergendoci per un attimo nella meravigliosa Sicilia. Terra, quella siciliana, incantevole, ricca di paesaggi mozzafiato, cultura, storia e gente fantastica. Terra che ha dato i natali ad eroi, poeti e scrittori, dando alla Nostra isola il lustro che merita. Unico neo, non trascurabile, questa magnifica terra è infestata dal male dei secoli, la mafia.
Santo Stefano di Camastra, conosciuto per lo più perché citato nella novella di Luigi Pirandello “La Giara”, ha dato i natali anche al nostro coraggioso personaggio, Giuseppe Antoci.
Giuseppe è un onesto uomo politico italiano, che, una volta ricevuto l’incarico di presidente del più grande parco naturale protetto della Sicilia, denominato “Parco dei Nebrodi”, notando delle discrepanze nella gestione del parco, dalla mafia dei pascoli alle truffe dei fondi per attività agricole elargiti dalla Regione Sicilia e quelli europei, ha istituito ed introdotto il rinomato “Protocollo Antoci”, derivante appunto dal suo cognome. Questo protocollo riguardava i criteri necessari per l’assegnazione dei terreni e relativi affitti, facenti parte del parco. Per una collocazione geografica precisiamo che i terreni del parco sono collocati sull'Appennino siciliano, confinanti con l’Etna ed il mar Tirreno. Antoci, con il suo protocollo pretendeva, giustamente, la presentazione del certificato antimafia anche per gli affittuari di terreni paganti anche piccoli affitti. Da specificare che questo protocollo, data la correttezza delle normative dettate nel testo, è stato adottato in tutta la Regione e sottoscritto da tutti i Prefetti. Successivamente, il "Protocollo Antoci" è stato recepito dal nuovo codice antimafia il 27 settembre 2017, tutt’ora è applicato in tutta Italia.
Evidentemente, questa voglia di legalità ha disturbato la mafia che, per ovvie ragioni delinquenziali, aveva parecchi interessi sulla gestione del parco. Questo disturbo ha fatto sì che Giuseppe Antoci fosse vittima di un attentato mafioso, perpetrato ai suoi danni il 27 settembre 2016. Giuseppe ne uscì salvo grazie all’automobile blindata, alla pronta reazione dei suoi uomini di scorta e ad altri due coraggiosi poliziotti che, nel frattempo, sopraggiungevano sul luogo dell’attentato.
Questo suo coraggio l’ha portato a ricevere Onorificenze sia nazionali sia internazionali, ivi compreso il riconoscimento attribuitogli dal Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella, nominandolo “Ufficiale al Merito della Repubblica Italiana”, motivandone così la decisione "Per la sua coraggiosa determinazione nella difesa della legalità e nel contrasto ai fenomeni mafiosi". Anche il “padre” del commissario “Montalbano”, il compianto Andrea Camilleri, ha citato Giuseppe come “Un eroe dei nostri tempi”.
Perché allora? Perché sto scrivendo di Giuseppe Antoci? Abbiamo un eroe riconosciuto, salvo per miracolo. Eppure, cari amici, dove non arrivano i colpi della “lupara”, arriva la delegittimazione!
Arriva il “mascariamento”
Un termine siciliano, “mascariare”, che indica il mascherare, metaforicamente parlando, una o più persone che si vuole o vogliono diffamare e quindi delegittimare. Una delegittimazione subita anche da un altro coraggioso uomo, il giornalista scrittore Paolo Borrometi.
Evidentemente, anche i delinquenti si sono accorti che le parole uccidono di più che le pallottole.
Il problema, non è il gioco sporco messo in campo dai mafiosi, quello ci si potrebbe anche aspettarlo e, di conseguenza, si prenderebbero le dovute contromisure. Il vero problema nasce quando il “mascariamento” ti arriva alle spalle da persone o istituzioni che, invece di stare a tuo fianco, ti pugnalano alle spalle! Quello si, che fa male!
Un lavoro eccezionale, l’hanno fatto i giornalisti di “Le Iene”, in particolare il giornalista Gaetano Pecoraro, il quale è riuscito anche a mandare su tutte le furie il Presidente della Commissione Regionale antimafia, Claudio Fava.
Quest’ultimo, ha accusato il giornalista televisivo di averlo “aggredito verbalmente” durante un’intervista contenente domande su dati giudicati falsi e nella quale il giornalista chiedeva conto.
Il tema? L’attentato a Giuseppe Antoci! Infatti, la commissione Regionale antimafia Siciliana ha reso pubbliche le discordanze e i dubbi, avanzate dai membri del collegio, sull’attentato Antoci; ritenendo addirittura che lo stesso sarebbe potuto essere falso! Gaetano Pecoraro ha incrociato i dati, analizzando il lavoro della commissione con i verbali dalla Questura, le dichiarazioni degli inquirenti e via dicendo, trovando parecchie, troppe incongruenze. Chiedendone conto al Presidente Fava, i risultati sono stati quelli appena citati.
Noi non siamo giudici, né pretendiamo d’esserlo su questo caso, perché non ne abbiamo le facoltà né, forse, le competenze; di certo ci piace informare con analisi critica.
Addirittura, analizzando gli eventi dell’attentato, l’avvocato Ceraolo, ipotizzando dubbi sull’attentato, pone delle domande del tipo: “Dove sono gli attentatori?” “Dove sono scappati?" “Per uscire da quel bosco ci vogliono ore!” A queste “domande”. Ora, per le persone che non conoscono i luoghi, potrebbero sembrare delle domande legittime, o quasi. Ai quesiti ha risposto in pochissimi minuti il nostro Angelo Garavaglia Fragetta, cofondatore del Movimento delle Agende Rosse, nostro investigatore ad honorem. Angelo si è recato sul luogo dell’attentato, ha analizzato tutta la zona e, con il telefonino ha girato un brevissimo documento che allego in pedice e nella sezione video di www.agenderossegenova.it
Guadate il video, noterete con stupore che le ore che sarebbero servite agli attentatori per allontanarsi dal luogo dell'attentato, in realtà si sono trasformati in circa due minuti con una semplicissima passeggiata in un bosco pulitissimo. Allora perché mentire? Perché "mascariare"? Chi ci guadagna? Quali sono gli interessi? Quali i ruoli degli attori del "mascariamento"? A parte i mafiosi conclamati e conosciuti, quali colletti bianchi sono implicati?
In ogni caso, documentazione sull'attentato di ogni genere, potrete trovarlo facilmente in rete.
Contando sull'intelligenza del popolo italiano, che, molto spesso, stanco d’essere preso per i fondelli, giudicando inadeguata se non addirittura assente l’informazione pubblica, si pone giustamente delle domande pretendendone le risposte, fornendo la documentazione necessaria in nostro possesso, auspichiamo d'avervi fornito la chiave per le vostre risposte e che la Verità venga a galla, ricevendo contemporaneamente giustizia!
Nei vari link che troverete in pedice, troverete le risposte che cercate, guardate, leggete, informatevi e, se volete, giudicate.
Quello che posso dirvi è che persone come Giuseppe Antoci, Gaetano Pecoraro, Paolo Borrometi e tanti altri, hanno la mia piena solidarietà e quella del Movimento che rappresento.
Giuseppe Carbone
A.R. Liguria
Link correlati:
http://www.19luglio1992.com/agende-rosse-solidarieta-a-gaetano-pecoraro/
Le nuove mafie e il sistema economico
di Paolo Bellotti
Sul rapporto fra mafie ed economia molto si è già detto, ma non basta. Negli anni abbiamo imparato a comprenderne il condizionamento attraverso l'estorsione, l'obbligo di assunzioni compiacenti, il condizionamento sugli appalti pubblici, l'investimento dei proventi illeciti in quote societarie con le quali, anche attraverso l'usura, riuscendo ad impadronirsi di intere aziende e società. Ma da qualche tempo siamo di fronte ad un nuova e più pericolosa offensiva: le mafie stanno entrando nel sistema produttivo e commerciale non per arraffare quanto più possibile distruggendolo, ma per gestirlo al meglio, generando quindi ricchezza. Nella mia esperienza di funzionario del ministero di giustizia presso la sezione dei collaboratori di giustizia, già da tempo alcuni esponenti dei clan più efferati, collaborando con la giustizia, ci segnalavano dei nuovi mutamenti strategici in atto. Le nuove mafie, se da una parte devono continuare a mantenere quello che in gergo viene chiamato “il controllo del territorio”, messo in atto attraverso azioni violente e di prevaricazione esercitate sul proprio ambiente di influenza, dall'altra parte stanno cambiando strategia per poter investire, riciclare e fare affari nelle restanti regioni del nord Italia e non solo. Ma la vera novità sta nel fatto che i loro investimenti non sono più finalizzati all'acquisizione di beni societari con l'intento di depredare il territorio e l'economia, al contrario, sono adesso interventi economici finalizzati a fare affari convenienti anche per gli imprenditori e i commercianti fino a quel momento mantenutesi onesti. Nei territori del nord Italia le nuove mafie acquistano negozi e attività commerciali pagandole bene, con transazioni regolari e contratti registrati. Assumono personale mettendolo in regola. Gestiscono cantieri edili in collaborazione con società pulite rispettando le norme sia fiscali che antinfortunistiche. E' terribile dirlo, ma stanno generando ricchezza collettiva, dove far “affari con le mafie”può risultare conveniente anche per l'imprenditore o il commerciante che sta attraversando un momento di difficoltà economica. Stanno diventando veri uomini d'affari, ed è per questo che sono ancor più pericolosi. Perché lo possono fare? Perché l'economia e il sistema creditizio è in crisi e la crisi economica è una delle migliori alleate delle mafie. La lotta alla mafia non può quindi non prescindere da un impegno altrettanto energico per il rilancio economico e sociale della nazione. Si può arrivare a dire che, per il contrasto alla criminalità organizzata, un buon ministro all'economia potrebbe risultare necessario tanto quanto un bravo procuratore nazionale antimafia. Una nazione che diventa più prospera e più solidale può fare a meno delle mafie. Le mafie stanno cambiando pelle e stanno diventando ogni giorno sempre più inserite nel sistema economico italiano e, a differenza di qualche anno fa, non lo distruggono depredandolo, ma attraverso le loro risorse lo promuovono: è una amara realtà, ma comprenderla ci aiuterà a meglio combatterla.... sapendo che il tempo non gioca dalla nostra parte.
Paolo Bellotti
- Già Funzionario Ministero Giustizia e testimone processo Minotauro-Albachiara -
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IL Coronavirus non ci ha sconfitti, il nostro appuntamento è solo rimandato!
A fine emergenza vi aggiorneremo.
Arrivederci a presto al teatro "Carlo Felice" di Genova.
Maggiori info nella sezione "Eventi".
Giuseppe Carbone
A.R. Liguria
Dalla redazione di: www.19luglio1992.com
“C’è molta fantasia, c’è molta esuberanza nel momento in cui bisogna provare a mettere a tacere un giornalista. Una volta si pensava soltanto alle pallottole per posta. Adesso c’è un uso disinibito di strumenti di offesa diretta, ma a volte anche il ricorso strumentale ad artifici del diritto (…) con centinaia di querele e di azioni legali di risarcimento, spesso pretestuose esercitate, o semplicemente minacciate e agitate, con l’intenzione di intimidire e di indurre al silenzio. (…)
Abbiamo rivolto delle domande, peraltro non ruvide. Chi vi parla fa il giornalista e se andate a vedere come faccio il giornalista troverete che io le domande le faccio così a chiunque, perché le domande vengono fatte non per proporre risposte ma per ottenere elementi di verità, elementi di chiarezza, elementi di conoscenza. È utile, anzi, che certe audizioni siano il più possibile articolate, non siano soltanto uno sbrodolamento con mezza domanda e un quarto d’ora di risposta”.
Queste parole vennero pronunciate dall’onorevole e vicepresidente della Commissione parlamentare antimafia Claudio Fava il 1 luglio 2015, in occasione dell’ “illustrazione ed esame della proposta di relazione sullo stato dell’informazione e sulla condizione dei giornalisti minacciati dalle mafie”, davanti alla Commissione presieduta dall’onorevole Rosy Bindi.
Sulla base delle sopracitate affermazioni, che sentiamo di condividere in pieno, siamo rimasti veramente amareggiati dall’azione intrapresa dall’attuale Presidente della Commissione regionale antimafia siciliana, Claudio Fava, contro il giornalista de “Le Iene” Gaetano Pecoraro (nella foto). Fava, in una conferenza stampa convocata ad hoc nel palazzo dell’Assemblea regionale Siciliana, accusa Pecoraro di averlo aggredito verbalmente durante un’intervista, contenente domande basate su dati asseritamente falsi, per più di 80 minuti. Ma, cosa ancora più grave, attribuisce un intento preciso al giornalista di Italia Uno, quello di voler intimidire la Commissione da lui presieduta. Infine comunica alla stampa l’intenzione di inviare, su deliberazione della Commissione (che ormai con lui si identifica, approvandone le relazioni all’unanimità – M5S, PD, FdI, FI ecc. – e con il consenso esterno del presidente dell’Assemblea regionale siciliana, nientemeno che Gianfranco Micciché, indimenticato sottosegretario all’Economia che riceveva un pusher al ministero), l’audio integrale di quella intervista alle procure di Ragusa e di Catania (per far che?) per le “opportune valutazioni”. Pecoraro, di contro, nega di avere aggredito, minacciato o intimidito Fava e la sua Commissione, aggiungendo di aver soltanto mosso critiche sul lavoro da loro svolto riguardo l’attentato all’ex presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci.
Gaetano Pecoraro, il cui nome il presidente Fava non ha citato neanche una volta nella sua denuncia pubblica, si è occupato spesso di temi riguardanti la mafia, siciliana e non. Siamo assolutamente sicuri della serietà, della cura, dell’impegno e della passione che Pecoraro mette nel suo lavoro, per averlo potuto apprezzare in occasione delle inchieste da lui svolte sui casi degli omicidi di Attilio Manca e di Antonino Agostino e Ida Castelluccio, che conosciamo bene. Messaggi di stima e di solidarietà nei confronti di Pecoraro sono arrivati, infatti, anche dai familiari di Manca e Agostino.
E’ noto a tutti che “l’esistenza di un vero e proprio diritto ad essere informati è stato ribadito sia dalla Corte costituzionale che dalla Corte europea per i diritti dell’uomo. Diritto che, in un regime di libera democrazia, implica la pluralità delle fonti, il libero accesso alle medesime, l’assenza di ingiustificati ostacoli alla circolazione delle notizie e delle idee. Diritto che va collocato, da una parte tra le garanzie di indipendenza dell’individuo nei confronti del potere e, dall’altra, tra i diritti di partecipazione in quanto insostituibile strumento per assicurare il concorso dei cittadini alla gestione della cosa pubblica”.
Anche queste sono parole sottoscritte, il 5 agosto 2015, da Claudio Fava nella “Relazione sullo stato dell’informazione e sulla condizione dei giornalisti minacciati dalle mafie” della Commissione parlamentare antimafia, della quale fu proprio lui estensore. Parole che, naturalmente, sentiamo di fare nostre.
Ci auguriamo che il Presidente Fava non abbia cambiato idea sul ruolo e sull’importanza del giornalismo libero in un Paese democratico e che non venga impedito ai cittadini italiani il diritto di formarsi la propria libera opinione guardando il servizio realizzato da Gaetano Pecoraro.
Salvatore Borsellino
Mario Vaudano
Angelina e Gino Manca
Nunzia Agostino
Movimento Agende Rosse
C'era una volta il ponte Morandi,
Tutte le storie cominciano così, che siano belle, tristi, violente, esse si distinguono per il finale.
Con la nostra storia siamo ancora a metà dell'opera, c'era un famoso ponte autostradale che, il 14 agosto del 2018, a seguito del crollo parziale della struttura portante, ha provocato 43 morti e 566 sfollati. Io c'ero, con mio figlio, posso darne viva testimonianza perché, per una manciata di secondi, le vittime saremmo potute essere 45. Tante altre persone, nelle mie condizioni, si sarebbero potute aggiungere alla triste lista.
Il 15 febbraio 2020, il comitato "autostrade chiare" ed il "Comitato dei parenti delle vittime di ponte Morandi", insieme ad una moltitudine di cittadini, ci siamo ritrovati in Piazza De Ferrari per far sentire la nostra voce. La presenza del Sindaco di Genova e città Metropolitana Marco Bucci, del governatore della Liguria, presidente Giovanni Toti e tanti altri rappresentanti delle istituzioni, lì presenti a sposare e condividere le ragioni della pacifica protesta, hanno fatto intendere che queste provate persone non sono da sole.
Anche le segnalazioni delle varie pericolosità inerenti le arterie autostradali italiane, effettuate dai cittadini, partecipano e contribuiscono a rendere sicuri dei percorsi autostradali ostacolati da incuria e mera burocrazia. Ad esempio possiamo prendere le continue segnalazioni sulla costruzioni di pericolosissimi marciapiedi all'interno di già strette gallerie liguri, portate avanti da Leonardo Parodi. Mettiamo insieme tutte le segnalazioni e non potranno essere ignorate.
Come scritto a Luca Ternavasio, Presidente del "comitato autostrade chiare", la mia presenza ha portato anche la solidarietà del Movimento delle Agende Rosse, gruppo "Falcone Borsellino" di Genova, (Agenderossegenova). Come diceva Peppino
Impastato: "Il silenzio uccide, la mafia pure!" questa è stata una
mafia idolatra del dio denaro, come ha aggiunto giustamente il mio amico Giuseppe Matti Altadonna. La perdita di un figlio, di
un amico, non può competere e non può essere giustificata da nessuna cifra al
mondo.
Parafrasando un vecchio saggio:"Una noce in un sacco non fa rumore", ma, se nel sacco ci sono 10, 100, 1000, 100.000 noci ed anche più, faranno un frastuono che sarà difficile non sentire, anche per chi è sordo per convenzione o partito preso.
La magistratura sta facendo un ottimo lavoro, la Procura con il Dott. @Francesco Cozzi sta lavorando a pieno ritmo e, con gli investigatori, hanno ottenuto parecchi risultati. Certamente il lavoro è lento, circostanziato, attento e corretto; ma questa è la legge! Come recita un famoso detto attribuito a Socrate, "Dura lex sed lex", ed un detto che non mai caduto di moda.
Scrivevo in apice, c'era una volta..... e siamo a metà della storia. Il finale? arriverà! lento, inesorabile ma arriverà e noi ci saremo, perché questo finale lo scriveranno le donne e gli uomini testimoni del tempo!
Vi lascio con un aforisma di Paolo Borsellino: "Un giorno questa terra sarà bellissima!" ed io ci credo!
Giuseppe Carbone
Agende Rosse Genova